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C’è un relitto arrugginito e semiaffondato lungo il corso del fiume Shatt al-Arab, nella città di Bassora, in Iraq. Uno scafo che smise di fendere le onde esattamente venti anni fa, quando, il 27 marzo 2003, due aerei da combattimento statunitensi comparvero per porre fine a quello che una volta era un magnifico megayacht di 121 metri. Si chiamava Al-Mansur e rappresentava il monumento alla ricchezza e al potere di Saddam Hussein.
Progettato da Knud E. Hansen e costruito da Wärtsila, al momento della consegna, nel 1983, Al-Mansur era un megayacht rivoluzionario sotto il profilo di design e tecnologia, dove lusso e sicurezza erano declinati ai massimi livelli. Le linee esterne ricordavano molto lo stile di una nave da crociera dell’epoca, con una maestosa prua allungata e una stazza lorda che superava le 7.500 tonnellate.
© Knud E. Hansen
Osservandola dall’alto risultava ben distinguibile, nella sezione centrale, una cupola in vetro, sotto la quale si apriva un luminoso atrio alto 10 metri. Nel ristorante principale potevano essere accolti fino a 200 commensali, mentre per i trasporti via terra ed aria, Al-Mansur poteva contare su un garage per le limousine, eliporto e hangar per i velivoli. I suoi interni erano opulentemente decorati con marmi, legni esotici e finiture in argento e oro. Ponti in acciaio rinforzato e finestre antiproiettile spesse quasi cinque centimetri rendevano la nave difficile da attaccare, forse addirittura da affondare, anche lanciandole contro una bomba. Nel peggiore dei casi, il rais poteva eventualmente mettersi in salvo anche senza l’ausilio di una lancia di salvataggio: si ritiene che una capsula di lancio sottomarina fosse installata proprio nella cabina dell’armatore.
Se Saddam intendeva dotarsi di un megayacht a prova di bomba, il 27 marzo 2003 ne poté avere la conferma. Fu lui stesso a ordinare il trasferimento della nave a Bassora, a 36 miglia nautiche dalla città portuale di Umm Qasr, dove stazionava abitualmente, nel vano tentativo di metterla in sicurezza. Il movimento dello yacht presidenziale venne intercettato dalle forze militari statunitensi e britanniche, e su Al-Mansur deve essersi scatenato un vero e proprio inferno durante quel breve tragitto. Si pensa sia stato colpito addirittura da otto bombe, eppure la devastante serie di deflagrazioni non riuscì ad affondare Al-Mansur, il quale sembrava non volersi arrendere e difendere orgogliosamente il suo nome, che in arabo significa vittorioso. Questo perché le esplosioni avvennero ben oltre la linea di galleggiamento. Ma il gravissimo incendio che avviluppò Al-Mansur fu sufficiente per rendere inservibile lo yacht. Non si hanno informazioni su quante persone vi fossero a bordo e se siano riuscite a mettersi in salvo.
Orrendamente mutilata come nessun amante delle navi la vorrebbe vedere, anche in quelle condizioni il palazzo galleggiante di Saddam custodiva una enorme quantità di oggetti preziosi: dai pregiati materiali ornamentali alle esclusive posate, senza dimenticare gli arredi in oro massiccio che si ritiene contenesse al suo interno. I funzionari di Saddam furono i primi a salire a bordo per portare via tutto il materiale di valore. Poi arrivò il turno dei saccheggiatori.
© Jim Evans
Malconcio, arrugginito e depredato, per alcuni anni Al-Mansur è rimasto sempre nella stessa posizione in cui avvenne il bombardamento, poi è stato trasferito ed affondato vicino ai bacini di carenaggio di Bassora, dove giace in compagnia di altre navi distrutte che arrugginiscono nell’acqua bassa.
Al-Mansur oggi è il più grande relitto di quel fiume . Non vi sono piani per smantellarlo e rimuoverlo, si tratterebbe di un’operazione molto complessa e costosa per il governo iraqeno, sebbene doverosa considerato il pesante impatto ambientale. Per il momento è frequentata dai pescatori locali, che si arrampicano sui malandati ponti esterni per gettare le loro lenze in acqua.
Viene spontaneo chiedersi se la distruzione di Al-Mansur fosse davvero un atto necessario. Forse, se si fosse agito con più oculatezza che tempismo, si sarebbe riconosciuto che non costituiva alcun pericolo e che l’affondamento, peraltro mal riuscito, non avrebbe influito sull’esito di quella guerra e la cattura di Saddam. Se fosse stato risparmiato dai bombardamenti, poteva essere sequestrato e successivamente messo sul mercato, e con i proventi ricavati restituire al popolo iraqeno una piccola parte delle incalcolabili illecite ricchezze accumulate dal pericoloso dittatore. Oppure poteva essere convertito in struttura ricettiva, creando posti di lavoro e contribuendo al risollevamento di un Paese che stenta a riprendersi dagli orrori della guerra.
BASRAH BREEZE
© EPA
A poche centinaia di metri dai resti di Al-Mansur si trova anche Basrah Breeze, il primo yacht posseduto da Saddam, ma sul quale non vi ha mai soggiornato. Per questa nave il destino è stato completamente diverso: è ormeggiata e in parte visitabile.
Altro progetto di Knud E. Hansen, realizzato da Helsingor Vaerft nel 1981, le specifiche di questo yacht furono rivisitate più volte fino all’irrealizzabile e senza adeguamenti contrattuali, generando non pochi problemi al cantiere. Lungo 82 metri e con una stazza lorda di circa 2.300 tonnellate, è sontuosamente allestito e la caratteristica di maggior rilievo è senza dubbio la suite presidenziale, dove l’ostentazione non conosce limiti: letto a baldacchino, tappeti in seta, decorazioni in foglia d’oro, pannellature elaborate e sedie in stile Luigi XV. L’appartamento comprende anche un ufficio e persino una poltrona da barbiere. Molti anni più tardi è stata scoperta una stanza segreta, dietro una spessa porta celata dal rivestimento, impossibile da individuare se non si sa dove cercarla.
Basrah Breeze è stato risparmiato dai bombardamenti in quanto all’epoca si trovava nel porto reale saudita di Jeddah, dove era stato trasferito molti anni prima, sin dai tempi del conflitto tra Iran e Iraq, godendo di una costante manutenzione.
Dopo la morte di Saddam, ne è stata tentata inutilmente la vendita più volte. Quella più curiosa voluta da una società offshore controllata da un’altra compagnia offshore che risultava fare capo al re di Giordania, sollevando l’indignazione del governo iraqeno che ne reclamava la proprietà. Basrah Breeze ha fatto così ritorno a Bassora, accolto senza clamore dalla popolazione.
Nel 2014 per lo yacht presidenziale è stata individuata la sua nuova funzione di centro di ricerca per l’istituto di scienze marine dell’Università di Bassora.
Basrah Breeze conserva in gran parte i fasti del passato, ma il suo futuro è alquanto incerto. Il suo layout è inadatto per una nave da ricerca, la manutenzione costosa, i consumi elevati. Probabilmente la vendita sarebbe la soluzione migliore.
AL QUADISIYA
© Knud E. Hansen
Saddam Hussein possedeva infine anche Al Quadisiya, uno yacht fluviale di 67 metri, più pratico per gli spostamenti locali e molto meno appariscente, ma sempre con finiture di lusso e sicurezza di livello militare. Consegnato nel 1982 da Helsingor Vaerft ed ancora una volta progetto di Knud E. Hansen, affondò una decina di anni più tardi durante la prima guerra del Golfo.